Uno sguardo tinto di cielo
Le vive eterne colonne di luce
affondate nel mare alto dell’aria
reggono al sommo la piccola sfera
della terra sul gran duomo del cielo.
Un tempio unico è il cosmo…
Giorgio Vigolo
L’anno della nascita di Aldo Di Castro coincide con il rifiorire dell’arte a Roma, il 1932 porta all’affermazione nello scenario artistico della Capitale, il trio: Antonietta Raphael, ebrea lituana vissuta a Londra in un ambiente internazionale, il giovane timido Mario Mafai e il giovanissimo Scipione, visionario e vulcanico, appassionato di cinema.
In quegli anni gli artisti erano posizionati tra schieramenti estetici diversi, lavoravano assiduamente intorno alla Galleria La Cometa della Contessa Pecci Blunt, davanti ai due
dioscuri romani, collocati da Michelangelo su un palcoscenico unico al mondo.
Gli artisti: da Trombadori a Donghi da Capogrossi a Guidi, da Di Cocco a Francalancia, a F.Ferrazzi e a tanti altri dimenticati. Erano artisti pittori che dipingevano guardando Roma con gli occhi degli oracoli antichi, era la Roma dei poeti, da Giorgio Vigolo a Libero De Libero, da Alberto Moravia a Elsa Morante, da Enrico Falqui a Emilio Cecchi, Roma si avviava verso nuove stagioni dell’arte, della letteratura e della critica.
Le stelle che Mario Broglio aveva acceso e imposto, nel firmamento dell’arte, con la rivista Valori Plastici ( 1918), queste sensibilità ed artisti, avevano illuminato l’Europa e l’Italia di diversi oracoli. Giorgio De Chirico, Carlo Carrà, Arturo Martini, Giorgio Morandi e Edith Walterovna, bellissima ninfa venuta dalla Russia, dalla incantata Lettonia, per infondere a Roma l’amore e la febbre d’oro di Bisanzio nella travolgente anima dell’Est, dell’anima russa.
Dopo le battaglie futuriste, le scoperte della velocità, delle grandi tecnologie e “la guerra igiene del mondo” di Filippo Tommaso Marinetti, l’Europa era diventata un immenso cimitero.
L’arte tornava sulle rovine d’Europa dopo il bagno di sangue delle trincee, a riflettere e a meditare, e a produrre una ricostruzione del mestiere perduto dell’arte, con un ruolo rinnovato
dell’artista in una società moderna.
Una linfa di emozioni si espandeva con rigore e s’impregnava di memoria e di bellezza, sofferta e ferita nell’arte del ritorno al mestiere, dei maestri giovani d’Europa.
Si guardava con stupore ai maestri della pittura antica, nelle nuove forme e grandezza del silenzioso lavoro, nelle applicazioni della materia in geometrie di colori spurie di segni eterni.
Aldo Di Castro si affacciava ad un Secondo dopoguerra tra lotte ed egemonie dell’astrattismo francese e tedesco e del patrimonio del Novecento figurativo italiano, tra avanguardie passate e vive.
Tra purismo ed espressionismo, il lavoro e l’impegno di Di Castro ripartivano dalla figurazione acclamata dalle esperienze artistiche della pittura italiana.
Dopo la guerra tutto si era confuso e mescolato nel cataclisma di Auschwitz, gli uomini non potevano essere come prima, dopo lo sradicamento avvenuto con il nazismo e il fascismo.
Nulla poteva mai più essere come ieri. La guerra e la Shoà avevano segnato ferite e vuoti incolmabili nella vita e nell’arte.
Aldo con il suo carattere entusiasta, l’innamoramento per le cose belle, lo guidavano verso una ricerca non comune. Era preso da una classicità consolidata ed intima, cercava amici e
compagni nel mondo dell’arte Di Castro riscopriva una Roma modello di una bellezza eterna.
Roma non era passata e tramontata, malgrado le incertezze e le illusioni svanite, Roma riprendeva il suo posto nel cuore degli artisti.
Roma era, ed è stata modello assoluto per generazioni di artisti, fulcro di una produzione stupefacente. Di Castro oscillava tra esperienze di primo valore ed ordine, guardando i capolavori del Museo e della pittura classica.
Il mestiere si definiva nelle ricerche di una passione tra fiaba, sogno e contemplazione. I ritratti di Di Castro costituiscono oggi una galleria d’umanità restituita alla finezza di una psicologia profonda, nell’unicità dei modelli ritratti.
Si era nutrito di arte, figlio di quella pittura che lo spingeva verso orizzonti raffinati e solidi. Se si dovesse cadere in letture passatiste e nostalgiche, sarebbe un grave errore, l’artista come un alchimista sperimentava se stesso.
Aldo guardava all’arte della storia che appaga lo sguardo e il pensiero critico. E’ stato un intellettuale non comune. Un artista italiano ebreo che ha operato nella pittura con una qualità superiore, con la stessa religiosità con cui viveva l’ebraismo ed i ritmi della sua vita umana.
Le sue scelte oltrepassavano l’appagamento intimo per trasformarsi in pittura, scelte sempre legate al presente ed al passato critico.
L’artista è stato se stesso con quella innocenza che si riconosce nella qualità dell’artista autentico.
Una pittura la sua impregnata di cultura e di musicalità.
La pittura trovava un punto fermo nella conoscenza dello strumento estetico, godendo dell’incanto e del silenzio dell’arte.
Quando guardo le splendide vetrate del mio amico indimenticabile, dell’Oratorio Di Castro a Roma, di Via Cesare Balbo, vivo lo stesso stupore, quando contemplo le vetrate delle cattedrali del Nord Europa. L’arte e la pittura di Aldo appartengono ad una personalità schierata dalla parte del rigore e del lavoro, degni di un maestro italiano.
Un uomo che volle costruire un mondo di forme e di colori, traducendo scintille di romanità nel canto ebraico. La sua opera attesta un’eredità per tutti coloro che amano l’arte, quella vera, quella che non morirà mai.
Georges de Canino